venerdì 17 aprile 2009

NON DO NIENTE di Giacomo Di Girolamo

DALLA MIA MAIL:


Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi
>raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la
>mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il
>contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non
>telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto
>telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno
>bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case
>al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti,
>peraltro ormai passati di moda.
>
>Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei
>calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del
>premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette
>no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera.
>Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà,
>che in questo momento, da italiano, io possa fare.
>
>Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo
>stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne
>combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con
>questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di
>questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità,
>purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi
>sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire,
>stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e
>offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un
>centimetro.
>
>Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi
>coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo.
>Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste
>tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti,
>per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E
>quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani.
>E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che
>attraversano l’economia del nostro Paese. E nelle mie tasse c’è
>previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi
>specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che
>succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe
>politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma
>proprio nulla, che non sia passerella.
>
>C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a
>visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli
>altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa?
>Ce n’era proprio bisogno? Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse
>due. Poi Berlusconi ha parlato di "new town" e io ho pensato a Milano 2
>, al lago dei cigni, e al neologismo: "new town". Dove l’ha preso? Dove
>l’ha letto? Da quanto tempo l’aveva in mente?
>
>Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve
>essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori.
>Ecco come nasce "new town". E’ un brand. Come la gomma del ponte.
>
>Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura
>Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che
>"in questo momento serve l’unità di tutta la politica". Evviva. Ma io
>non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di
>politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti,
>avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con
>diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che
>calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia.
>Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che
>non c’è.
>
>Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha
>servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto
>Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo
>euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei
>lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po’ dei loro risparmi
>alle popolazioni terremotate.
>
>Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico
>versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo
>tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e
>di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare
>indifferente.
>
>Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre
>come prima? Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere
>bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che
>una delle scuole crollate a L’Aquila in realtà era un albergo, che un
>tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in
>edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi
>requisiti di sicurezza per farlo.
>
>Ecco, nella nostra città, Marsala, c’è una scuola, la più popolosa,
>l’Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è
>un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza
>rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha
>speso quasi 7 milioni di euro d’affitto fino ad ora, per quella scuola,
>dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo
>scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C’è una scala
>Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il
>controsoffitto in amianto.
>
>Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche
>l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere
>nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per
>tornaconto. Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al
>Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante
>la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io,
>con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il
>rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.
>
>Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa
>succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i
>furbi.
E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto
>è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non
>parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la
>maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il
>terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il
>paravento per giustificare tutto.
>
>Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se
>solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare
>gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli
>dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al
>referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova
>cosa che penso mi monta sempre più rabbia.
>
>Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia,
>il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio
>diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia
>dentro che diventa pianto, quando sento dire "in Giappone non sarebbe
>successo", come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se
>il know – how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni
>studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le
>costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.
>
>E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel
>frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come
>Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli
>ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno
>fatti morire di noia. Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i
>poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso. Come la natura
>quando muove la terra, d’altronde.

Giacomo Di Girolamo

Nessun commento: